Il lavoro continua. Improvvisamente una traduzione bella o brutta sembra un problema secondario, quasi meschino, e la nostra soglia di concentrazione è al minimo. (Stiamo tutti bene, malanni stagionali a parte; è la testa che va.) Ma non è una semplice traduzione: è Tolkien. Colui che ci ha dato tante emozioni e che ci ha consolato in tanti momenti brutti. Forse ora più che mai il mondo ha bisogno di Tolkien, e ci piacerebbe che l’Italia in particolare potesse apprezzarlo nella forma migliore, o quanto meno avvicinarsi con gli occhi ben aperti alla nuova traduzione, sapendo che dietro c’è molto, ma molto di più. Cercare di leggere Tolkien in inglese potrebbe essere un’attività proficua se ci si annoia chiusi in casa.
Così abbiamo ancora una volta aggiustato il tiro. Il nostro scopo primario non deve essere la lode ad Alliata o le critiche a Fatica, ma la difesa di Tolkien. Questo comporta inevitabilmente l’approccio testuale alla traduzione Fatica, che però non deve essere fine a se stesso, e che oggi per noi entra in una nuova fase. Con questo il Professore è di nuovo al nostro fianco, in un modo o nell’altro.
Con questo post iniziamo un confronto riga per riga fra l’originale di Tolkien e la traduzione Fatica. Eviteremo di fare riferimento ad A/P se non quando necessario. Se possibile non entreremo nel dettaglio delle etimologie per brevità, e sicuramente prenderemo cantonate, come direbbe Gandalf; chiediamo il vostro aiuto per rimediare alla nostra incompetenza. Nel post introduttivo avevamo manifestato il tipico hubris di Noldor auspicando di poter produrre una traduzione alternativa di TUTTO il testo. Ovviamente non ce la faremo, neanche in 7 più collaboratori. Però è in lavorazione un progetto comune di cui ancora non sappiamo dire con precisione, ma vi terremo aggiornati.
Sarà sbalorditivo quanto la rivelazione che Tolkien è uno scrittore coerente, ma ci siamo resi conto, affrontando la traduzione Fatica parola per parola, che in effetti è scorrevole… fino a quando il lettore si schianta (troppo spesso) contro un muro di cemento che infrange la quarta parete e demolisce la sospensione dell’incredulità, quella che Coleridge chiamò willing suspension of disbelief.
L’ostacolo più frequente alla lettura, a parte i veri e propri errori linguistici, è l’uso inutile di termini desueti per parole semplici e tuttora comuni della lingua inglese; e dall’altra parte la banalizzazione di termini o frasi di registro alto. Il tutto aggravato dalle vanterie sul “vero Tolkien”. Almeno fossero stati più umili.
(Edit del giorno dopo: subito dopo aver premuto invia ci siamo messi a recuperare le nostre letture trascurate e abbiamo scoperto che L come Lettrice ha scritto nell’arco di mesi pagine e pagine eccellenti di commento testuale, in contemporanea con il nostro lavoro dietro le quinte. Giuriamo, non l’abbiamo copiata. Nei suoi articoli troverete note complementari alle nostre, interpretazioni alternative e un atteggiamento molto più equilibrato.)
L’ordine delle voci che seguono è quello di lettura. Ci scusiamo se non mettiamo i numeri di pagina, ma con 3 testi da confrontare, in futuro forse 4 (Astrolabio), siamo già abbastanza confusi.
Harrowdale / Valfano (dall’Introduzione di Tolkien): la Nomenclature di Tolkien (sulla quale si veda anche Tolkien Gateway) spiega:
Dunharrow. A modernisation of Rohan Dūnhaerg ‘the heathen fane on the hillside’, so-called because this refuge of the Rohirrim at the head of Harrowdale was on the site of a sacred place of the old inhabitants (now the Dead Men). The element haerg can be modernised in English because it remains an element in place-names, notably Harrow (on the Hill).
(Interessantissimo l’uso di heathen da parte di Tolkien, parola che nel SdA compare solo due volte e segnala la differenza fra i culti antichi della Terra di Mezzo e la possibile “cristianità” di Faramir che prega verso occidente e casi simili, ma questo è un argomento troppo profondo ed esula dalla discussione presente.)
Questo è uno dei pochi casi in cui Fatica, nell’intervento a Modena del famigerato “Tolkien coerente”, ha spiegato la sua scelta:
Tolkien sfida spesso i suoi lettori inglesi, li stuzzica continuamente ad usare l’ingegno. Un altro esempio di complessità linguistica è il nome ‘Dunharrow’, in cui il lettore medio inglese leggerebbe subito “harrow” come “erpice”. Invece, il suo etimo è da Tolkien legato a un tempio pagano sopra le colline, “heathen fane”, come spiega nella Guide ai traduttori [la Nomenclature, NdFF]. Infatti “fane” vuol dire “fano” che in italiano significa appunto “tempio sacro”: per questo Fatica ha tradotto ‘Valfano’.
La prima voce della nostra lista non comporterebbe una critica da parte nostra. Fatica si è spiegato chiaramente e concordiamo. Harrowdale è un termine insolito per il lettore inglese come “Valfano” lo è per l’italiano. Peccato che Fatica menzioni Dunharrow e non Harrowdale: Dunharrow non significa Valfano ed è un nome che non compare ancora nella Compagnia. Forse si è confuso perché Harrowdale si trova sotto la voce Dunharrow nella Nomenclature, ma dice la stessa cosa, parola per parola, anche nel resoconto dell’intervento a Parma in cui Cercatori di Atlantide fa un’interessante ipotesi su cui ci piacerebbe sentire un parere articolato di Fatica:
Ora, Fatica tradurrebbe Dunharrow [no: Harrowdale] come Valfano, e ci spiega perché. Non parla del perché dun vada tradotto con valle, in realtà. Ma in questo caso credo (credo!) che compirebbe questa scelta basandosi sul fatto che, in antico inglese, dun sia la riduzione fonetica tanto di dūn (= collina) quanto di denu (= valle), almeno secondo A Dictionary of British Place-Names. Poi potrei sbagliarmi.
[Edit 16/4 ore 23: basta, abbiamo riscritto completamente il paragrafo e aggiunto la citazione. Non nominateci mai più Valfano.]
Big Folk / Grossa Gente: l’inversione dell’aggettivo evoca un tono “alto” che in inglese non è presente. Anzi, è più facile che uno hobbit semplice e pratico usi “Gente Grossa”. Si perde il registro medio/basso.
do not hurry unnecessarily / prendersela comoda: si perde il registro medio con l’abbassarsi dato dal colloquialismo, e soprattutto si perde unnecessarily, che è un tema, osiamo dire, dell’intera trilogia: gli Hobbit non si affrettano (o non si mettono in viaggio, o non vanno in battaglia) se non quando è necessario. E infatti!
ranging between two and four feet / tra il mezzo metro e il metro e venti: 2 piedi sono 60 cm, quindi mezzo metro è troppo poco. Idem 4 foot 5 / quasi un metro e mezzo: Bandobras era alto quasi 1 metro e 40. Mancano sempre 10 cm.
Bullroarer / Muggitoro: to roar significa ruggire, non muggire. Tutti i tori muggiscono, solo Bandobras ruggisce. Si perde il registro alto (A/P: Ruggitoro).
counsels / consulte: Un poco freddo e burocratico. (E’ vero che A/P parla di “Entaconsulta”, ma non fa testo.) Siccome la frase completa, troubled the counsels of the Wise and the Great, si riferisce agli hobbit, non è necessario che i Saggi e i Grandi siano riuniti a consulta; ne basta uno che medita preoccupato sugli hobbit, quindi potrebbe essere meglio “riflessioni” o anche solo “pensieri”.
of Anduin / di Anduin: l’Anduin è un fiume, nessuno direbbe il delta di Po.
between the eaves of Greenwood the Great and the Misty Mountains / tra la gronda di Boscoverde il Grande e i Monti Brumosi: forse a un lettore inglese eaves suona altrettanto bizzarro di “gronda” per un italiano, in questo caso. Però, oltre a “grondaia”, eave(s) significa “margini di una foresta” (dall’Old English). In questo senso la parola viene usata altre tre volte nel SdA nella Compagnia: al termine di “La Vecchia Foresta”, e 2 volte quando Legolas parla di Lórien in “Lothlórien”.
“Gronda” in italiano confonde le idee perché significa “grondaia” o, se si va a cercare il significato geografico, “il massimo livello dell’alveo di un lago” (Treccani.it). A meno che Fatica non lo usi in modo figurato con il significato di “grondaia” intendendo “rami e fronde sporgenti”. Potrebbe essere giusto, siamo solo perplessi.
Mirkwood / Boscuro: Mirk (con la sua variante murk) è un termine arcaico e raramente usato. Qui era necessario un termine altrettanto desueto in italiano, come Bosco Atro (A/P). Inoltre l’uso di una parola sola suona bene in inglese, lingua che usa molti più termini composti, ma in italiano ha un effetto fiabesco che in questo caso stona con la pericolosità del luogo. Si perde il registro alto.
Fallohides / Cutèrrei: la Nomenclature spiega: fallow + hide = Paleskin. Tolkien aggiunge che sono termini arcaici, “but this element of archaism need not be imitated”. Invece Fatica, che ha usato termini comprensibili in italiano e fedeli alle indicazioni di Tolkien per gli altri due ceppi hobbit, qui causa uno stop brutale al lettore con “Cutèrrei”. Solo conoscendo la spiegazione di Tolkien siamo riusciti a intuire che intende “dalla cute terrea”. Si perde la comprensibilità originale (almeno parziale).
roamed over Eriador / errando per Eriador: come sopra, l’Eriador è una regione, nessuno direbbe “viaggiando per Lombardia”. Inoltre “errando per Eriador” va nella categoria “traduzioni non belle” perché inserisce un inutile vezzo allitterativo. Si perde la semplicità originale.
Weathertop / Svettavento: il povero Comastri continua a ripetere che Amon Sûl = letteralmente Colle del Vento in Sindarin, ma a quanto pare non è ritenuto abbastanza competente… Trattasi di collinetta alta 300 m in mezzo a una piana di lievi dune. Non svetta. Si perde la semplicità originale.
Dunland / Landumbria: dalle Appendici del SdA:
Only in Dunland did Men of this race hold to their old speech and manners […] Dunland and Dunlending are the names that the Rohirrim gave to them, because they were swarthy and dark-haired; there is thus no connexion between the word dunn in these names and the Grey-elven word Dûn ‘west’.
Essendo un termine dei Rohirrim, può essere migliore la scelta di A/P di non tradurlo, anche se dunn, come tante parole e nomi di Rohan, è Old English e significa “scuro” (sopravvissuto nell’inglese corrente come dun, un colore del manto dei cavalli che si trova in molte varianti: per esempio baio o sauro in italiano). Si riferisce al colorito dei Dunlending: letteralmente sarebbe quindi “la terra degli uomini bruni”, senza connotazione negativa. Per estensione, e data la cattiva reputazione di quel popolo, è possibile che il concetto di “scuro” sia passato alla loro terra.
Ciò detto, con “Landumbria” si perde il suono minaccioso in favore di un improvviso teletrasporto in Italia Centrale. Va bene la localizzazione (vedi sotto), ma non se toglie significato all’originale. Se proprio c’era da usare l’ennesimo composto banalizzante, meglio “Landumbra” o “Landombra”.
Took. Tanti insulti ad Alliata, e poi se si va a vedere la Nomenclature risulta che nomi simili vanno localizzati, ovvero adattati alla lingua di destinazione. Logico risultato: Pippin Took = Pippin Took (A/P: Pipino Tuc). Incoerenza. Idem per Gamgee; era l’occasione perfetta per recuperare “Gamigi” della traduzione Astrolabio.
[Brandybuck of] Buckland / [Brandaino di] Landaino. La frase completa si trova nel I capitolo, ma ne parliamo qui per chiarezza. Prima di tutto, il lettore ignaro inciampa sulla pronuncia. Fatica, come A/P, traduce Brandywine = Brandivino, con l’accento sulla I della penultima sillaba. Per assonanza si sarebbe tentati di fare lo stesso con Brandaìno e Landaìno. Invece no, perché si parla del dàino, l’animale con le corna. Fatica ha messo l’accento a Cùterrei, ma non qui dove la pronuncia è altrettanto ambigua. Forse non desiderava che uno dei protagonisti assoluti se ne andasse in giro gravato da un accento. Comunque, incoerenza.
Ma da dove esce “daino”? Vediamo la Nomenclature per Brandybuck:
it is obviously meant to contain elements of the Brandywine River and the family name Oldbuck (see these entries). The latter contains the word ‘buck’ (animal): either Old English bucc ‘male deer’ (fallow or roe), or bucca ‘he-goat’.
Quindi buck = cervo maschio o caprone/becco. Più in generale indica il maschio di molti animali, per esempio i conigli. (Avete letto Watership Down / La Collina dei Conigli? Altra lodevole attività da quarantena.)
Tolkien suggerisce perciò di usare un composto di brandy + buck. Strano che Fatica abbia cambiato la maggior parte dei nomi tradotti da A/P tranne pochissimi; in questo caso avrebbe potuto usare Brandyvino, dato che il brandy si chiama così anche in italiano. (Fra l’altro poco più oltre mantiene la Y in Brandy Hall = Palazzo Brandy. Incoerenza.) Segue la Nomenclature e tiene “brand-“. Fin qui ci siamo, più o meno. Ma buck è difficilmente traducibile senza cadere nel ridicolo. Brandibecco? Brandicapro? Ricordiamolo di nuovo: non è un nome che ricorra di rado. Brandicervo della Terra del Cervo? Vagamente più nobile, ma finiamo nei Sei Ducati di Robin Hobb (la nostra Cartoceti ha tradotto il ducato di Buck con Cervo e nessuno ha battuto ciglio). Personalmente preferiamo “Brandibuck” (A/P) e preferiremmo ancora di più Tuc e Brandibuc, che ricalcano la quasi assonanza dei nomi originali dei due inseparabili hobbit, e sono coerenti fra loro e con la Nomenclature. Invece abbiamo Took e Brandaino (o BrandaINO se a uno non vengono in mente i daini). In inglese questo si chiama “a trainwreck“.
Landaino: altro composto inutile. I nomi già suonano strani e difficili anche per chi non conosca A/P; Brandaino di Landaino, poi, ci sembra un integratore contro l’insonnia. (Troppo soggettivo? Non siamo noi quelli che hanno eliminato i Raminghi perhé “sembravano un ordine di frati”, che oltretutto sarebbe una similitudine molto appropriata.) Non che Brandybuck of Buckland sia un nome di tutti i giorni, ma l’effetto farmaceutico è negato dal suono solenne, e “Brandibuck della Terra di Buck” (A/P) aggiunge quel “della Terra di”, un rifiatare non indispensabile ma gradito a chi legge Tolkien per la prima volta.
Westernesse / Occidenza: abbiamo sempre odiato Ovesturia, soprattutto nella Canzone di Eärendil; ma Fatica traduce anche (come A/P) Westron = Ovestron. Con Ovestron – Occidenza si perde la connessione Westron – Westernesse data da west-.
falling far and wide into waste / finivano in malora un po’ dovunque. Con il colloquialismo si perde il registro medio/alto dell’originale. Più in generale, l’uso frequentissimo di po’ (e di be’) quando parla il narratore o un personaggio “alto” come Gandalf abbassa gravemente il registro dell’intera opera.
Chetwood / Bosco Chet: si veda Took. (A/P usa “Bosco Cet”, rispettando le istruzioni della Nomenclature.) Idem per Archet, più oltre. [Edit 14/4: La Nomenclature dice di lasciare invariati Chet, Archet e Bree.]
high king at Fornost / alto sire di Fornost. Non ci si sta rivolgendo a lui come “sire”, si dice semplicemente che è un re. Si perde il registro medio per un inutile registro alto.
Stonebows / Petrarchi: il lettore precipita a picco nel Canzoniere, e la sospensione dell’incredulità si perde. Aule con la maiuscola nella poesia dell’Anello ci aveva già lasciati perplessi; Landumbria può essere involontario; ma secondo un famoso detto variamente attribuito, “una volta è un caso, due è una coincidenza, tre è un indizio”. Ci chiediamo: questi rimandi a concetti che non hanno nulla a che fare con l’originale sono solo noncuranza per la percezione del lettore, o sono astute strizzatine d’occhio? In entrambi i casi, questo non è Tolkien. (PS: Stonebow è anche un luogo nella città di Lincoln, che significa “arco/campata di pietra” e proviene dall’Old Norse.)
their well-ordered business of living… They were, in fact, sheltered / le loro ben organizzate attività di sussistenza… In realtà erano tutelati: Termini quotidiani tradotti in burocratese. Si perde il registro medio.
white winters / inverni nivali: Cos’ha che non va “bianchi”? E’ forse razzista? Si perde il registro medio.
looked no further than their bellies and their well-fed faces / si limitasse a guardarne la pancia e il viso pasciuto: looked no further in questo caso è figurato, non si intende che qualcuno guarda uno hobbit dalla testa ai piedi, significa “non andare oltre (l’apparenza)”.
and in the flats and the low-lying districts the Hobbits, as they multiplied, began to build above ground / con l’aumento della popolazione gli Hobbit cominciarono a costruire in superficie, nella pianura e negli avvallamenti: Ambiguità. Superficie, pianura e avvallamenti non sono tre luoghi in cui gli hobbit costruiscono. Letteralmente: “nelle zone pianeggianti e nei distretti a bassa quota [orrendo, lo sappiamo], gli hobbit cominciarono a costruire in superficie”.
Dwarf-boots / nanostivali. Fatica si vanta di aver restituito il vero Tolkien e poi traduce una frase semplicissima come “stivali nanici” con un termine da space opera.
Grey Havens / Grigi Approdi: cos’ha che non va il semplice e letterale “Porti Grigi”? Non sono un posto a cui si “approda” ma da cui si parte per sempre. Eppure Fatica dichiara di aver letto il Silmarillion (non sappiamo come si possa comprenderlo senza aver letto il Sda). Inoltre si perde il registro medio per un inutile registro alto.
Roofed with turves / coperto di cotica: turf = “mantello erboso” è un termine comune, anche in forma plurale, e non ha niente di comico. “Cotica”: filologicamente corretto? Di sicuro. Ma si perde la sospensione dell’incredulità.
Pipe-weed / erba piparina: perché? Si perde la semplicità dell’originale.
Rangers, Wizards, or wanderers / Forestali, Maghi o vagabondi: sui Forestali si è già detto fin troppo. Più interessante è l’uso di “mago”, invece di “stregone”, per wizard, che ricorre in tutto il libro. Forse Fatica voleva distinguere Gandalf dal Re Stregone? Non ci era mai passato per la mente di confonderli. Inoltre wanderers ha un significato più generico e meno negativo di “vagabondi”. Si poteva sciogliere in “gente di passaggio” o simili.
road-meeting / carrobbio: la traduzione è corretta e la parola è bella, ma non è di immediata comprensione. Si perde la semplicità dell’originale.
The Prancing Pony / Il Cavallino Inalberato: se ne è parlato fino alla nausea. Secondo noi la traduzione letterale, che tiene conto del fatto che pony è una razza specifica di equini, sarebbe “Il Pony Saltellante”. “Puledro Impennato” (A/P) non è letterale, ma suona bene e sono 6 sillabe. “Cavallino Inalberato” non è preciso in nessuno dei due termini, e sono 8 sillabe.
The only real official in the Shire at this date / Al momento l’unico vero e proprio funzionario della Contea: quale momento? Traduzione letterale: “Al tempo della nostra storia”. Errore linguistico e/o ambiguità.
Postmaster / Capo dell’Ufficio Postale: traduzione letterale ma prosaica. A/P ha “Ministro delle Poste”, sempre burocratese, ma fa pensare un po’ meno alla signora Cesira che ci consegna le raccomandate dalle 8:30 alle 12:30. Post e “posta” vengono entrambi da statio posita, ovvero “stazione di posta” dove si fermavano i corrieri per rifocillarsi e cambiare i cavalli. Poteva essere “Mastro dei Corrieri”?
to his own lasting astonishment / sorprendendo non poco e a lungo se stesso: “non poco” non c’è nell’originale. La frase è pesantissima. Proposta: “Per la sua perenne sorpresa” o simili.
hoard / riserva: detto di Smaug, 2 volte nel Prologo. Hoard = tesoro. Concetto famosissimo da Sigfrido a Beowulf. Quando un drago va in riserva gli si accende la spia?
he would not use it to help him kill the wretched creature / non intendeva usarlo per uccidere la sciagurata creatura: “non intendeva” all’imperfetto implica un “ma…” che non c’è. “Non volle usarlo” o “non lo usò” andrebbe meglio, sapendo ciò che in seguito Gandalf dice di Bilbo.
the good hobbit had not told the truth from the first: quite contrary to his habit / il bravo hobbit, come di prammatica, non avesse detto la verità fin dall’inizio: la traduzione è ambigua, come se Bilbo fosse uso a non dire la verità. Inoltre “come di prammatica” non corrisponde al semplice “from the first”. Bastava dire “non come il suo solito” o una frase analoga che rifletta la semplicità dell’inglese. Si perde il registro medio.
Sting / Pungiglione: Letterale, certo, ma si perde Pungolo per una parola più lunga e banale.
Questi sono solo gli esempi più lampanti. Molti altri li abbiamo lasciati passare per sfinimento.
E diversi nomi ci piacciono, perché la traduzione è corretta e il termine personalmente non ci stona: Samplicio, Castaldo (longobardo e latino, meno prosaico di Sovrintendente), Gran Sterro che si rifà all’Old English, Quartiero, spiegato da Fatica nel resoconto dell’intervento a Parma (anche se non si menziona la Nomenclature, che almeno fa capire perché mai Tolkien ritenga comico Farthing), o Selvalanda, che in realtà non ci piace ma è fedele a Tolkien.
Il problema è che questa manciata di traduzioni a nostro parere centrate ci fa rimpiangere ancora di più il numero molto maggiore di errori e incoerenze della traduzione Fatica.
Mi permetto di commentare un articolo non dei più recenti.
Ottima analisi sulla nuova nomenclatura ecc.
Come avreste tradotto voi le tre prosapie hobbit: Fallohides, Harfoots e Stoors.
E questi luoghi: Westernesse, Weathertop, Mirkwood, Rivendell, Dunharrow e Harrowdale, Dunland.
Solo per mia curiosità
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A me piace Ovesturia! Mi da quel sapore da terra antica ormai andata (tipo la parola Etruria) e poi si accorda benissimo con Ovestron. Invece Occidenza, almeno per il mio orecchio, non è eufonico per nulla…
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Grazie Frank! Non avevamo pensato a “Etruria”. Ecco che si impara sempre qualcosa di nuovo!
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Non è necessario che giuriate di non avermi copiata… Vi credo, senza bisogno di alcun giuramento 😀
Ho solo due cose da aggiungere a quest’ottimo commento testuale: “Svettavento” e “inverni nivali” potrebbero essere tentativi di mantenere l’allitterazione. Sia in “Weathertop”, sia in “white winters”, ci sono delle consonanti che si ripetono. Non sarebbe la prima volta che Fatica forza la mano – se così si può dire – per non rinunciare a un’allitterazione; ne è un esempio il passaggio del primo capitolo in cui compaiono termini come “paventando” e “postprandiale”, laddove in originale il registro non subisce alcun innalzamento.
Anche a me non piace “Ovesturia”! Non mi è mai suonato bene. Adoro, invece, queste vostre due proposte: “Mastro dei Corrieri” e “Il Pony Saltellante”. Sono affezionata a “Puledro Impennato”, lo ammetto, ma se proprio bisognava cambiare nome, “Pony Saltellante” è molto appropriato! Dà subito una sensazione di allegria (“There is an inn, a merry old inn…” 🙂 ).
“Brandicervo” non è così male… e “Terra del Cervo” è molto meglio di “Landaino”, almeno secondo me. Comunque, qui sono gusti. Resta il fatto che il cognome di Merry è l’unico, tra quelli dei quattro Hobbit, a essere stato localizzato… e ancora devo capire il perché (e no, signor Fatica, dire che sui nomi non è coerente nemmeno Tolkien non è una risposta).
P.S. Grazie per aver definito eccellente il mio lavoro (troppo gentili!!). Il vostro non è da meno, anzi! Però questa domanda ve la devo proprio fare: perché nei vostri articoli parlate spesso del numero di sillabe? Capisco quando si tratta di poesia… ma per la prosa? Che importanza può avere il numero di sillabe?
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Grazie, “Pony Saltellante” in effetti è un po’ una sparata (#TeamPuledroImpennato), ma “Mastro dei Corrieri” lo useremmo, se toccasse a noi. Interessante suggerimento riguardo all’allitterazione; condivideremmo la scelta di Fatica, che infatti dice spesso di aver riscontrato metri poetici all’interno della prosa di Tolkien, se non fosse che in italiano ciò causa un effetto straniante invece che armonioso come l’originale, ovvero il risultato opposto.
Ahahah, le sillabe… un po’ è uno scherzo, un po’ non lo è. Ai tempi facemmo qualche traduzione di sceneggiature TV e ci impegnammo per contare le sillabe e immaginare il labiale, chiedendo ripetutamente un consiglio, un riscontro, qualsiasi cosa ai direttori (non i revisori che erano carinissimi, ma non avevano l’ultima parola)… il nulla. Fine dell’esperienza televisiva, non si può essere l’ultima ruota del carro. Comunque ci è rimasta la sindrome del Vietnam del contare le sillabe, peggiorata dal fatto che Fatica giudica Alliata in base al numero di errori e di parole in un paragrafo, e quindi… Ci siamo sempre divertiti a leggere ad alta voce i nostri pezzi preferiti (di qualsiasi cosa), Quindi non riusciamo a non immaginarci Aragorn che, invece di un semplice e solenne “Here is the Sword that was Broken and is forged again”, dice a Eomer “Ecco la Spada che ha subìto il danno e di nuovo hanno ZZZZZzzzzz…” Anche perché altrove Fatica usa “La lama spezzata”; perché non ha tenuto quella frase?
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“[…] condivideremmo la scelta di Fatica, che infatti dice spesso di aver riscontrato metri poetici all’interno della prosa di Tolkien, se non fosse che in italiano ciò causa un effetto straniante invece che armonioso come l’originale, ovvero il risultato opposto”… Ecco, avete centrato il punto. Il problema della traduzione di Fatica, a mio avviso, è proprio la disarmonia: è come se il traduttore, nella sua frenesia di rimanere “fedele all’originale”, dimentichi spesso qual è il suo pubblico di riferimento e quali sono le caratteristiche della lingua di destinazione (ben diversa dalla lingua di partenza), col risultato di allontanarsi dalla bellezza e dall’armonia del testo di Tolkien. E questo non mi stancherò mai di ripeterlo (con buona pace di chi sostiene che le critiche alla nuova traduzione siano dovute solo all’incapacità di accettare il cambio dei nomi).
Grazie per avermi risposto sulle sillabe 🙂 Quindi vi è capitato di lavorare in campo televisivo? Wow! Ma quali sono i direttori a cui vi riferite? Non voglio sapere nomi e cognomi, sia chiaro… Intendo: direttori di che cosa? Della rete televisiva? Scusatemi, ma sono curiosa… Se non vi va di rispondere, però, non preoccupatevi ^^
Quanto al perché Fatica non abbia mantenuto sempre l’espressione “la lama spezzata”, è una bella domanda. In effetti, la sua versione dell’enigma che ha condotto Boromir a Imladris non mi entusiasma granché…
P.S. Ho risposto al commento che avevate lasciato l’altra volta sul mio blog… Quando avete tempo, potete passare a leggere 🙂
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Si trattava di traduzioni per una serie televisiva; siamo restii a menzionare la società per cui lavoravamo, per non scornacchiarli, ma intendevamo i direttori del doppiaggio, che sono il vertice della catena alimentare in quel campo. A una convention avemmo un’esperienza tristissima con un grande direttore del doppiaggio cinematografico. Volevamo chiedergli chi era il genio che aveva tradotto una certa frase che a noi piaceva tantissimo. Qualcuno ci precedette, e lui rispose qualcosa tipo “Che ne so, io sono il direttore del doppiaggio”. Di nuovo non facciamo nomi per rispetto. Adesso andiamo a vedere sul tuo blog, grazie per esserti sciroppata il nostro papiro! 😀
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