Non numeriamo più i post sulle fonti primarie perché il materiale uscito in questi mesi è davvero tanto. Come promesso in questo post, cominciamo a smaltirle partendo dalla più vecchia, che abbiamo scoperto solo di recente, ma che è importantissima perché sono parole di uno degli studiosi direttamente coinvolti nella traduzione Fatica, e vi compaiono quasi per la prima volta concetti che in seguito saranno ripetuti fino alla nausea:
Il Signore Degli Anelli: intervista a Giampaolo Canzonieri dell’Associazione Italiana Studi Tolkieniani, da StayNerd, 3 gennaio 2020. Come si sa, Canzonieri è il curatore della traduzione Fatica. L’intervistatore è piuttosto critico, pur restando civile, e le risposte sono molto interessanti: vi consigliamo di leggerla tutta.
La collaborazione alla nuova traduzione è consistita essenzialmente in un lavoro di consulenza riguardante quegli aspetti dell’opera che, in virtù della loro particolarità e sottigliezza, potevano non essere colti anche dal traduttore più esperto, qualora questi non fosse stato al contempo uno studioso delle opere del Professore.
(grassetto nostro)
Fatica ha un curriculum di tutto rispetto, ma non sarebbe stato il caso di trovare un traduttore che fosse effettivamente uno studioso di Tolkien?
Prefiggendosi l’obiettivo di collocare Tolkien fra i Classici del ‘900 trattarlo finalmente da Classico era la prima cosa da fare, e una nuova traduzione dopo 50 anni era sicuramente il primo passo da compiere.
E’ vero che i Classici vengono ritradotti spesso, ma quale altro Classico ha un seguito nazionale (e mondiale) così ampio e ramificato, e così legato alla traduzione originale? Che Tolkien sia un Classico del ‘900 non è mai stato in dubbio, soprattutto da quando Shippey ha pubblicato “JRR Tolkien Autore del Secolo” all’alba del 2004? Ci sfugge la correlazione tra “trattare Tolkien da Classico” e una nuova traduzione.
Tutti noi abbiamo amato la traduzione dell’Alliata-Principe. Se ci siamo appassionati a Tolkien prima come fan e poi come studiosi lo dobbiamo anche a loro, e tuttavia non si può negare che la varietà del linguaggio tolkieniano, i diversi registri linguistici “cuciti” sui personaggi maggiori e minori, fosse nella traduzione “storica” fortemente penalizzata. Da questo punto di vista la cifra traduttiva di Fatica, basata sulla stretta aderenza al testo pur nella ricerca della miglior resa italiana, garantisce certamente una lettura che ci restituisce un Tolkien molto più vario e molto più vero.
(grassetto nostro)
Riguardo alla “stretta aderenza al testo” si vedano i nostri Commenti Testuali. (PS: la Principessa preferisce che la sua traduzione venga chiamata Alliata/Bompiani; gli studiosi di AIST dovrebbero saperlo. Forse a inizio anno questo suo desiderio non era ancora così noto. Noi stiamo correggendo i nostri post, ma è un lavoraccio.)
Ed ecco apparire il famigerato Vero Tolkien, che dai suddetti Commenti Testuali risulta essere ben altro che tale. Un solo, frusto esempio: se Tolkien usa la comunissima parola floor in un contesto hobbit casalingo, la traduzione “piancito”, di cui perfino molti linguisti non conoscevano né il significato né la pronuncia (pian-CI-to), non è vero Tolkien.
… alcuni passaggi dell’opera di Fatica danno un’impressione straniante. Sicuramente dovuta all’abitudine acquisita nella lettura della traduzione dell’Alliata/Principe, ma in alcuni casi si ha anche un’altra sensazione, come se ci fossero state altre mani oltre a quella di Fatica.
Questo è da escludere. La traduzione è firmata da Ottavio Fatica e ne risponde soltanto lui.
(grassetto originale)
Che il dubbio sorga, è indicativo. Inoltre, “Questo è da escludere” non significa “no”. Non amiamo le teorie di complotto, ma se si confronta la leggibilissima e scorrevole (sul serio, qui non siamo sarcastici) traduzione dell’Enigma di Aragorn con l’ermetico, disossato, incomprensibile, testualmente sbagliato Eärendil (lo abbiamo commentato qui e qui), davvero non sembra la stessa persona.
Segue una discussione sulla Poesia dell’Anello, che abbiamo commentato, linkando l’analisi di Kelo, molto più esperto di poesia di tutti noi messi insieme. Qundi non ci ritorniamo, se non per segnalare una frase di Canzonieri: È l’unica vera libertà che Fatica si prende nei versi, quindi è sicuramente voluta e cercata, ma solo lui ne conosce il motivo. Strano che neppure il curatore stesso e l’AIST che gli sta alle spalle sappiano il motivo delle scelte di Fatica, soprattutto in una poesia così iconica, che hanno scelto come biglietto da visita per la nuova traduzione, suscitando le reazioni che sappiamo.
… l’incontro di Dain II con il messaggero di Sauron, narrato da Gloin nel corso del Consiglio di Elrond. In inglese il Re sotto la Montagna usa l’espressione “The time of my thought is my own to spend” per riferirsi alla riflessione che farà sulla proposta del Signore Oscuro.
L’Alliata traduce con “il tempo del mio pensiero è mio”, mentre Fatica sceglie di parafrasare con “il tempo da dedicarvi sono io a deciderlo”, allontanandosi però dall’originale di Tolkien.
In realtà in questo caso se ne allontanano entrambi, ma Fatica meno. Laddove l’Alliata/Principe parafrasa e allunga – “Il tempo del mio pensiero è mio, e sono libero di impiegarne quanto voglio” – Fatica come sempre rimane più asciutto – “Il tempo da dedicarvi sono io a deciderlo” – ed evita anche la sgradevole ripetizione del “mio”. Sono però d’accordo che in questo caso una traduzione più letterale sarebbe andata benissimo. “Il tempo del mio pensiero sta a me spenderlo” sarebbe stato più fedele e altrettanto efficace.
(grassetto originale)
Ecco un esempio che ci era sfuggito. Concordiamo con la traduzione di Canzonieri. Ma allora perché il curatore non ha suggerito la modifica? Sarà sfuggita anche a lui, comprensibile con un’opera di questo pondo, ma di nuovo, date le dichiarazioni dell’intera organizzazione sul Vero Tolkien, è un po’ poco professionale. Staremo a vedere quando uscirà a ottobre l’edizione in un volume solo, che pare sia stata riveduta e corretta.
Fatica privilegia moltissimo l’aderenza al testo. Ma ovviamente non la persegue nel cento per cento dei casi e solo lui potrebbe spiegare pienamente le singole scelte. A volte si possono avanzare ipotesi più o meno fondate, ma altre nemmeno quelle.
Vedi sopra.
Senza voler scendere nello specifico della polemica, sorge spontanea una domanda: se ci sia stato il tentativo di coinvolgerla [Alliata] in questo progetto.
Questa è una domanda cui solo l’Editore potrebbe rispondere. In linea di massima, tuttavia, non credo sia uso coinvolgere il traduttore precedente in un progetto di ritraduzione.
(grassetto originale)
Ma come abbiamo detto, questa non è un’operazione comune. Pochi Classici vengono citati così frequentemente e diffusamente in traduzione come Il Signore degli Anelli. Neanche noi conosciamo tutti i retroscena e non è il nostro campo di indagine, ma in questa situazione particolarissima sarebbe stato normale e utile un lavoro congiunto fra editore, traduttrice, eventuale nuovo traduttore e TUTTE le realà accademiche tolkieniane.
Occorre tuttavia distinguere tra chi manifesta legittime e indiscutibili posizioni di non gradimento, eventualmente anche “forti”, e chi si pone su posizioni pregiudiziali o peggio ancora ideologiche. I primi sono i benvenuti, i secondi in verità no. Per altro non posso fare a meno di notare che l’uscita della nuova traduzione de Lo Hobbit nel 2012 non provocò nessuna levata di scudi. Quindi certe vesti stracciate, in molti casi con mesi di anticipo sull’uscita della nuova traduzione della “Compagnia”, sottendono forse qualcos’altro che, francamente, non mi interessa.
Canzonieri dà giustamente merito alle critiche costruttive e condanna i giudizi a priori, come facciamo anche noi. Si smentisce però alla fine del paragrafo, perchè a molti mesi di anticipo sull’uscita non ci furono solo vesti stracciate, ma anche annunci trionfalistici di sapore pesantemente ideologico. Se a lui non interessano, figuriamoci a noi che ce le vediamo cacciare in gola a ogni pié sospinto, soprattutto ora che è uscito il Ritorno del Re. Arriveremo anche a quello.
La traduzione dello Hobbit 2012 non fu accompagnata da alcuna campagna insultante o dichiarazioni sperticate e autocelebrative, non fu presentata come il Vero Tolkien. Per questo passò in sordina ed è generalmente apprezzata.
Nel complesso penso che la nuova traduzione abbia risvegliato un interesse per Tolkien che non si vedeva da parecchio, e già questa è per noi un’enorme soddisfazione.
(grassetto nostro)
Verissimo, è l’unica cosa buona uscita da questo carnaio. La cosa ancora migliore sarebbe trarne le necessarie conclusioni: il Vero Tolkien è Tolkien in inglese, e non è impossibile affrontarlo.