Fatica sui Quaderni di Arda: Recensione

Il “presto” del post precedente è durato 3 mesi e ci scusiamo. Siamo in fase di burnout dovuto a problemi personali, di entità tutto sommato lieve ma in numero eccessivo perfino per 7 fratelli. Dal lato positivo abbiamo lavorato molto per Tolkien dietro le quinte, e speriamo che prima o poi i frutti si vedano. Il tempo è poco, ma ora proviamo a ritagliarci nuovi spazi per riprendere a lavorare anche in pubblico.

Come dicevamo sotto, il 2 maggio 2021 su I Quaderni di Arda è stato finalmente caricato l’intero intervento di Fatica a Trento del 20 febbraio 2021. Anzi, più che intero. Non è una semplice trascrizione, è praticamente un intervento ex novo. Il che ci ha lasciati molto perplessi, e in un certo senso ha confermato le nostre impressioni riportate qui: a Fatica e Wu Ming 4, Tolkien come autore non piace e quindi non va difeso.

[Scusate ma la formattazione di certe citazioni è andata a pallino, non dovrebbero essere tutte in grassetto.]

La prima obiezione è a livello filologico. L’affermazione qui sopra sembra apodittica, e forse non si capisce perché tiriamo in ballo WM4. Ora spieghiamo.

La filologia viene troppo spesso confusa con l’etimologia. Secondo Wikipedia, vituperata ma non inutile se si sa come prenderla, la filologia è:

un insieme di discipline che studia i testi di varia natura […] da quelli antichi a quelli contemporanei, al fine di ricostruire la loro forma originaria attraverso l’analisi critica e comparativa delle fonti che li testimoniano e pervenire, mediante varie metodologie di indagine, ad un’interpretazione che sia la più corretta possibile.

Alcuni Figli si sono laureati in Filologia Italiana alla Cattolica di Milano (da bravi cattofascisti) e si sono fatti un fondo così per imparare quello che è la filologia in ultima analisi, un METODO. Supponi di avere un manoscritto rinascimentale di un autore di età ciceroniana, con tre fonti documentarie imperiali e una alto-medioevale, e devi produrne un’edizione critica: paragoni tutti i testi, indichi tutte le variazioni del manoscritto rinascimentale rispetto alle fonti, e alla fine produci un testo leggibile e completo, ma con un apparato critico che documenta le varianti nei secoli di ogni singola parola. Questa per noi è la filologia, che è diventata addirittura una filosofia di vita. Mai credere a nessuno, se non ci sono fonti documentarie.

[L’esempio del manoscritto è sempre più contorto man mano che correggiamo, e adesso Internet va a singhiozzo. Tenetevelo così.]

Nel caso di Trento è più semplice ma non troppo, dato che gli autori sono viventi e continuano a cambiare versione. Ma noi applichiamo comunque il METODO e ci azzardiamo a fornire una bozza di apparato critico A noi sono giunti:

TR = Trento, relazione di Ottavio Fatica trasmessa in diretta e non disponibile in rete, rimasta solo sotto forma di tradizione orale e appunti immediati;

TR-WM4 = il commento di WM4 sul sito AIST uscito subito dopo Trento, il cui rapporto con TR abbiamo già commentato qui;

TR-QA = la versione uscita su I Quaderni di Arda.

La nostra ricerca maniacale delle fonti primarie rimane frustrata da quest’ultimo testo. E’ stato di certo utile confrontare i nostri appunti raffazzonati con l’intervento “ufficiale” e scoprire quali fossero i nomi e i titoli lasciati cadere da Fatica nel suo accento brusco e con una vaga vena snob. Ma chi non abbia ascoltato in diretta l’intervento non ha alcuna possibilità di sapere cosa sia stato davvero detto a Trento. TR-QA sembra segnalare diverse parti in colori diversi, ma in modo non chiaro e apparentemente casuale. E ancora non si capisce dove cominciano e dove finiscono le citazioni.


TR-QA è preceduto da un bizzarro “abstract” in inglese. Chi ne è l’autore? Si suppone che sia Fatica, ma non è immediato. SIamo assolutamente favorevoli alla diffusione degli articoli italiani nel mondo anglofono, ma l’abstract finisce per lasciare molti dubbi sul contenuto dell’articolo. Soprattutto, non siamo stati capaci di chiarire l’esatto significato di autophilology.


Confrontiamo ora TR (secondo i nostri appunti) e TR-QA.

1_ Ricordavamo che TR cominciava con la proposta di “un ripensamento generale su Tolkien”. In TR-QA non se ne parla, ma rimane tale. Dopo l’accenno alla mappa e agli specchi, TR-QA ha un lungo passaggio sul romanzo moderno, di circa 370 parole, che contiene questo paragrafo: Sentirsi sulla croce del tempo e dello spazio è esperienza che risparmia facili evasioni. Le uniche evasioni sono quelle sacrosante contro il giogo artificiale, il surplus di catene alzate dagli umani per alleviare il giogo naturale. Non ci sembra esattamente ciò che Tolkien dice riguardo all’ “evasione del prigioniero”.


2_ TR accenna agli Inklings; TR-QA specifica Questi gli Inklings, un circolo viziato, così cosy, come si conviene a un ambito ristretto, ovattato. Ridendo a denti stretti sul gioco di parole fra “circolo vizioso” e “circolo viziato”, ci viene da chiederci cosa ci fosse di viziato, cosy, ovattato, in un gruppo di persone riunitesi dopo una guerra mondiale e in mezzo alle avvisaglie di un’altra.


3_ Alla fine della digressione sugli Inklings, TR-QA cita:

«Distanza temporale, pura antichità e stranianza (alienness) potranno poi molare la lama del tragico e dell’orrore; ma la lama dovrà pur esserci perché la cote elfica dell’antichità l’affili». Lama e cote c’erano. E «i bambini hanno la lama non smussata della credenza».

Queste citazioni sono tratte, non accreditate, da On Fairy Stories:

Distance of time, sheer antiquity and alienness, might later sharpen the edge of the tragedy or the horror; but the edge must be there even for the elvish hone of antiquity to whet it. (Nota B)

Qualcuno ci fa notare che sarebbe meglio straniamento.

Riguardo ai bambini, un amico ci ha finalmente indirizzato alla fonte (sempre l’inaccreditato On Fairy Stories). Non lo trovavamo perché non sono parole di Tolkien, ma di Andrew Lang:

Andrew Lang’s Fairy Books are not, perhaps, lumber-rooms. They are more like stalls in a rummage-sale. Someone with a duster and a fair eye for things that retain some value has been round the attics and box-rooms. His collections are largely a by-product of his adult study of mythology and folk-lore; but they were made into and presented as books for children. Some of the reasons that Lang gave are worth considering. The introduction to the first of the series speaks of “children to whom and for whom they are told”. “They represent,” he says, “the young age of man true to his early loves, and have his unblunted edge of belief, a fresh appetite for marvels.” ” ‘Is it true?’ ” he says, “is the great question children ask.”

Grassetto nostro. Per onestà intellettuale sarebbe stato necessario specificare.


4_ Parlando di “scrittori che la libreria impone alla letteratura” (J. Gracq), TR-QA commenta: “al proposito ho il sospetto che quando parla di fair letters incise nella pietra Tolkien irrida alla bellettristica.” A tutt’oggi non sappiamo da dove venga questa citazione, vagamente offensiva verso Tolkien (tanto per cambiare). Grazie a chiunque ci aiuterà.


5_ Altrimenti è condannato a rimanere chiuso nella nicchia dorata degli adoratori; per quanto vasta, sempre un altarino. L’accenno all’altarino non era in TR, e ricorda molto TR-WM4. Dice WM4:

Che bisogno ha di essere sostenuto se non sta cadendo?

La stessa constatazione si può spendere per il testo narrativo, che non coincide con le sue traduzioni nelle lingue XY, e che non può essere sacralizzato, né caricato di «Verità», a meno che non si intenda fondare una religione (e qualcuno che vorrebbe beatificare il Professore pure esiste), trasformandosi da fan a fanatici religiosi, appunto. Se qualcuno pensa che il passo non sia breve dia un’occhiata alla storia della Chiesa di Scientology.

(grassetto nostro)

Quindi noi Tolkieniani non Fatichiani faremmo a Tolkien un altarino, eh? Aspettiamo il colpo apoplettico generale se Tolkien venisse davvero beatificato.


6_ TR discute delle critiche a Tolkien, arrivando a Auden che era un fan. TR-QA contiene altre frecciate anti-Tolkien:

Invano Auden difende contro Wilson gli stereotipi di Tolkien, più profondi del consueto: sempre stereotipi sono, anche per lui. Per fare convintamente e convincentemente un certo genere di narrativa gli manca quel che di avventuroso, avventuriero, schiettamente popolare che trasuda da figure come Salgari o Dumas prima ancora che dai personaggi; in Tolkien è un sentore di dilettantismo professorale.

(grassetto nostro)

(convincentemente?)

Nello stesso paragrafo si trova un passo che non avevamo capito la prima volta, e da beceri Noldor continuiamo a non capire:

Ma a volte creazioni, o creature, in un primo tempo diversamente concepite dall’autore, usciranno in parte o in toto riplasmate dall’alchimia imprevedibile di forza mitopoietica dell’archetipo immessa sui binari dello stereotipo […]

Questi sarebbero i ragionamenti dietro al’intento di rendere Tolkien più chiaro e scorrevole.


7_ Parlando del critico Harold Bloom, TR-QA dichiara:

Stigmatizza un’attitudine di Tolkien che sembra fatta per indisporre. Bloom deprecava inoltre l’uso di una lingua estremamente self-conscious, impacciata perché troppo cosciente di sé. C’è del vero anche in questo.

(grassetto nostro)

L’ultima frase in grassetto non è stata pronunciata a TR e sembra voler piantare l’ennesimo chiodo nella bara di Tolkien.

Il discorso su Bloom si conclude in TR e TR-QA con il seguente passaggio:

E, per finire, l’opera avrebbe risposto a un bisogno della controcultura dei tardi anni Sessanta. Anziché trincerarsi dietro il facile senno di poi, che a sua volta avrà un seguito non così scontato, perché non riconoscere che, dopo cinque decenni, quelle parole avvalorano semmai il sospetto più che fondato che la controcultura, checché significhi, nel frattempo invalsa, imperi e impazzi ovunque – né si scorgono segni di cedimento.

Di nuovo, non capiamo una parola.


8_ Parlando di Auden, neanche in TR-QA si capisce dove finisce la citazione del poeta e dove comincia il commento. Spoiler: Il commento è la parte in grassetto, non sono parole di Auden.

In un saggio del 1967 Auden sosteneva che anche in un mondo secondario come quello del Signore degli Anelli la cattiveria andrebbe attribuita solo a individui con tanto di nome, non a masse anonime. Ma questo permetterà di farle poi candidamente a pezzi – a parte le remore tardive di un provatissimo Frodo – o al Nano e all’Elfo di fare a gara a chi ammazzerà più Orchi, quasi fossero birilli o burattini, smorzandone l’orrore ma anche la portata.

Segue la dichiarazione:

[Auden] È altresì convinto che al lettore interessi sapere che il presentimento di Gandalf su Gollum era giusto: senza Gollum la Cerca sarebbe fallita all’ultimo momento.

E questo lo dice davvero Auden; ma quanto segue, senza precisazioni, è farina materialistica dell’autore/autori, come abbiamo già segnalato nel nostro post. Prosegue TR-QA, aggiungendo ulteriori malignità sul meraviglioso brano della Pietà e Misericordia e intorbidando ciò che dice Auden [tra parentesi quadre ciò che non era in TR, 50 parole in più]:

[Paradossalmente invece, più l’autore dà corpo, verbale, a un mondo secondario, più dovrà rendersi conto che è intrinsecamente manchevole, composto com’è dei soli elementi funzionali alla narrazione.] Auden s’interroga anche su come avrebbe potuto essere diversa la vita di Gollum se Deagol non avesse pescato l’Anello. Pia illazione. Questo si può dire, peraltro sempre invano, nel mondo primario, [e forse neanche in quel caso, se il caso non esiste e tutto è scritto anche qui; se si ha una fede]. Nel mondo secondario lo stretto indispensabile è dosato con il contagocce dal demiurgo in carica, nella fattispecie Tolkien.

Proseguendo il discorso su Gollum, TR-QA ripete la parodia della poetica tolkieniana espressa in On Fairy Stories, senza citare quest’opera, e trascurando opportunamente i concetti di Recovery, Escape, Consolation e soprattutto Eucatastrofe.


9_ Ora sia TR che TR-QA dichiarano di voler entrare “nel vivo del testo”. TR-QA aggiunge un’ennesima simpaticissima frecciatina su Tolkien:

la mite tenuta di tweed, con panciotto e sorrisetto serafico dietro la pipa non devono trarre in inganno: di hybris ce n’è a volontà.

TR-QA inserisce inoltre un’inesplicabile citazione (ovviamente non attribuita, tanto per accentuare quella vena saputella di cui dicevamo) del grande Duke Ellington. Nel nostro precedente articolo abbiamo sospettato sessismo (vedi sotto) e ora ci viene da sospettare razzismo, dato che un mito del blues non viene neanche nominato.

… l’importante sarà la resa dell’insieme e poi, all’interno, di ogni singolo paragrafo, di ogni singola frase e quasi di ogni singola parola. Per ottenerla è da trovare il ritmo, perché «it don’t mean a thing if it ain’t got that swing».

TR-QA aggiunge altre 80 parole non presenti in TR:

La pagina che mira alla perfezione, quella di un Mallarmé mettiamo, è la più precaria, ogni minima alterazione la scalfisce. La pagina che ha la vocazione dell’immortalità, per così dire, può passare attraverso letture tendenziose, versioni approssimative, incomprensioni, senza perdere l’anima, il nocciolo rovente, nella prova; basti pensare alle opere di Omero o di Tolstoj. O dello stesso Tolkien, che punta sì alla prima ma, per sua fortuna, la seconda lo assiste. In traduzione sempre prevarrà la cura della prima.

Ci abbiamo messo parecchio per decifrare queste affermazioni. Tolkien punta alla perfezione ma lo assiste la vocazione dell’immortalità? E in traduzione prevarrà sempre la cura della perfezione? Tutto sempre nel nome della scorrevolezza.

Segue in TR-QA un pezzo identico a TR e altrettanto deprecabile:

Quello che molti italiani si rifiutano di ammettere, o neanche concepiscono, è che non tutti quelli che lo leggono in originale ne approvano, per non dire che ne deplorano, le scelte. Chi si vanta di averlo letto in inglese non può avere la sensibilità, innata o acquisita, che spesso non ha neppure il madrelingua, né la competenza, che richiede studi e approfondimenti, per apprezzare adeguatamente l’uso alquanto peculiare dello strumento, sì da cogliere pecche e virtù, finezze e scarti, sottintesi e suggestioni del lavoro tolkieniano sulla lingua.

(grassetto nostro)

Chi si vanta di giudicare i lettori anglofoni di Tolkien non può avere la sensibilità di concepire il background di tali lettori, soprattutto se madrelingua, ma anche se italiani con un’esperienza lunga una vita di letture in inglese, prosa e poesia.


10_ Altre 60 parole in più in TR-QA rispetto a TR (ci piace tanto contare le parole, come le sillabe… ci hanno fatto scuola i 500 errori a pagina):

Perfino nelle Appendici, in quei lunghissimi elenchi ci si può imbattere in Minyatur che non significa ‘miniatura’ ma, in lingua Quenya, è composto da minya (primo) e tur (signore). A proposito di elenchi: se per amare Omero occorre amar l’elenco delle navi greche o, Proust, quello delle famiglie più o meno aristocratiche, nel caso di Tolkien bisognerà amare le genealogie?

Ah ah ah, hanno fatto la battutona. L’indifferenza per le “lingue inventate” qui rasenta la derisione. E no, non BISOGNA amare l’elenco delle navi o le genealogie. Bisogna RISPETTARLO come il lavoro certosino di un autore, che piaccia o no.

Seguono altre 72 parole in più, in cui lo stile di Tolkien viene definito ossessivo, ottuso, inutile:

In Delitto e castigo l’avverbio «improvvisamente» compare 1560 volte. Probabilmente Tolkien batte Dostoevskij, anche se dopo i primi due libri si mostrerà più parco con l’avverbio. Avrebbero dovuto legger tutti e due il decalogo stilato da Elmore Leonard. Tolkien, diversamente da Dostoevskij, non scriveva in fretta e furia. Nondimeno un ristretto numero di aggettivi torna ossessivamente, per non dire ottusamente a volte, a volte inutilmente. Sarebbe assurdo, già solo per questo, duplicarli.

(grassetto nostro)

Suddenly compare in LOTR 429 volte. Se 1560 volte non è la solita innocente “iperbole”, no, Tolkien non batte Dostoevskij.


11_ Le parole “fuori contesto”. Come TR, TR-QA fa un elenco di termini e frasi che sarebbero “fuori contesto” e che abbiamo già discusso qui. Ma in TR-QA c’è di più (40 parole):

Difficile davanti a night-walkers non pensare alla celeberrima poesia Byzantium di Yeats, certo non ignota a Tolkien, dove sta per ‘passeggiatrici notturne’, come spesso non hanno notato i traduttori italiani di quei versi. Voleva riportare l’espressione in ambito meno scabroso?

Questo è un esempio stupendo, servito su un piatto d’argento. Per vari motivi:

Primo: questa citazione non era in TR. Era tuttavia in TR-WM4. Ora, va benissimo che Fatica e WM4 si scambino gli appunti, come abbiamo detto nel nostro post. “Scusa Federico, puoi aggiungere nel tuo articolo questo paragrafo che ho dimenticato?” “Scusa Ottavio, mi è venuta in mente un’altra cosa, possiamo metterla nel testo per i Quaderni di Arda?” Assolutamente normale e legittimo. Però sorge il dubbio di chi abbia davvero contribuito a TR e chi abbia rimpolpato l’intervento di TR per TR-QA. Non è una teoria di complotto, basterebbe chiarezza filologica.

Secondo: Il contesto, questo sconosciuto. Vediamo il passo in cui Tolkien parla di night walkers: siamo al capitolo The Black Gate Opens, mentre l’esercito dell’Ovest si avvicina a Mordor.

They passed the hours of night in wakefulness and they were aware of many things half-seen that walked and prowled all about them, and they heard the howling of wolves. The wind had died and all the air seemed still. They could see little, for though it was cloudless and the waxing moon was four nights old, there were smokes and fumes that rose out of the earth and the white crescent was shrouded in the mists of Mordor.
     It grew cold. As morning came the wind began to stir again, but now it came from the North, and soon it freshened to a rising breeze. All the night-walkers were gone, and the land seemed empty.

(grassetto nostro)

Vicino a Mordor la notte suscita imprecisate creature ostili, simili a tante altre, dal Vecchio Uomo Salice agli Spettri dei Tumuli alle fell voices sul Caradhras (non come nel film). Perfetta coerenza con il resto del libro. Al mattino le creature che camminano di notte scompaiono. Tutto qui.

Il termine night walkers viene usato in numerose culture per indicare creature soprannaturali, dall’Africa alle Hawai’i (Night Marchers, un interessante ricordo della Caccia Selvaggia). Certo, indica anche personaggi sospetti o prostitute (Merriam-Webster). Però ci vuole un bel salto di fantasia per immaginarsi donne fatali che sventolano le ciglia verso Aragorn da dietro un albero, e soprattutto che Tolkien volesse “riportare l’espressione in ambito meno scabroso”, secondo la buona vecchia teoria del Tolkien sessuofobo.

Per quanto ci piaccia Yeats, qui non c’entra nulla. NIGHT = notte. WALKERS = coloro che camminano. (Si veda The Ring Goes South: “the Nine Walkers shall be set against the Nine Riders that are evil“, e altrove.) Quindi NIGHT WALKERS = coloro che camminano di notte. Perché Tolkien dovrebbe fare un ragionamento contorto come “Night walkers significa prostitute, ma io lo uso per indicare creature ostili e misteriose e quindi lo rendo meno scabroso”? Il Rasoio di Ockham, come sempre, fa gli straordinari.


12_ Parlando di Tolkien sessuofobo, in TR-QA è misteriosamente sparito il riferimento al “libro asessuato” che tanto ci aveva colpito. Forse avevamo ragione nel considerare sessista l’idea che il “ragazzino” non trovi niente in Tolkien che faccia venire le farfalle nello stomaco?

A proposito di sessismo, in un’altra aggiunta di 42 parole in TR-QA troviamo un ulteriore ipotetico caso di razzismo, quando veniamo informati che

Fra i nomi delle genealogie ce ne sono di ridicoli in quel contesto, uno per tutti: Sancho. O Tolkien sarebbe arrivato a sostenere con argomenti capziosissimi che non aveva niente di spagnolo ma derivava da una delle tante lingue di sua invenzione?

Ridicolo? Parlando di contesto, come la mettiamo con i leggendari colonizzatori della Contea, Marcho e Blanco? Sancho sarebbe dunque ridicolo quanto Largo, Longo o Linda, tutti nomi di origine ispanica presenti nella genealogia dei Baggins? Perché non sono altrettanto “ridicoli” nomi come Lily, Dora, Daisy, Prisca? (quest’ultimo, nome latino amatissimo da Tolkien, il soprannome di sua figlia Priscilla) O quelli dei Took: Fortinbras, Hildigard, Hildibrand (nome di un eroe delle leggende germaniche, mastro d’armi di Dietrich von Bern), Rosamunda? Non sarà che Tolkien, conoscitore di numerose lingue, ha preso i suoi nomi da diverse culture, dal Mediterraneo al Nord Europa e oltre, includendoli nella sua traduzione dei nomi in Ovestron? In ogni caso chi se ne frega delle lingue, giusto?

Di seguito un’altra chicca da 80 parole:

E perché solo verso la fine usa per due volte ghyll, che ho reso con ‘calanco’, grafia adottata solo negli anni venti dell’Ottocento da Wordsworth per “antichizzare” il termine che in una poesia del 1793, An evening walk, scriveva ancora gill? Come se io, seguendo Leopardi diciamo, avessi messo ‘giovanezza’. È pur vero che ho usato ‘aule’ nel senso di Carducci traduttore del Re di Tule di Goethe, quando scrive «Ne l’aula de gli alteri / Suoi padri a banchettar».

Ghyll – calanco è interessante, non lo sapevamo e ci piace; ma l’arrampicata del gatto sui vetri insaponati per spiegare Aule nella Poesia dell’Anello (CON LA MAIUSCOLA, nel verso sui NANI) è un tantino patetica. Fa sospettare che lo scrivente, da quelle due cose del Silmarillion che conosce, sappia giusto che Aulë ha plasmato i Nani e abbia voluto dare una saccente gomitatina al lettore. Diteci che ci sbagliamo, please.


13_ Le allusioni bibliche. In TR-QA c’è un paio di nuovi esempi rispetto a TR (in tutto 58 parole) che dimostrano quanto sia assurdo cercare citazioni dalla Bibbia in Tolkien, o peggio deplorarle. La Bibbia, il libro più letto del mondo, di peso fisico non indifferente, in giro da svariate migliaia di anni… Non c’è da stupirsi che moltissime espressioni siano passate nelle lingue correnti quasi senza che se ne ricordi l’origine. Ma gli esempi sono anche peggiori di babel:

Gandalf had been measured e, anche se Tolkien non aggiunge: and found wanting, sempre dal Libro di Daniele è tratto.

Quindi Tolkien viene criticato per qualcosa che NON ha scritto. Non solo, ma la citazione è errata. Da Many Meetings:

‘There are many powers in the world, for good or for evil. Some are greater than I am. Against some I have not yet been measured. But my time is coming.”

To measure / be measured against: un verbo comune in un modo di dire comune che si usa anche in italiano, “misurarsi contro qualcosa”. “Misurare” implica un risultato, e Gandalf teme certamente di risultare inferiore (found wanting) ai “poteri” di cui parla. Ciò non significa che in questo passo Tolkien stia pensando all’esempio estremanente specifico di Daniele 5:27, in cui il profeta interpreta la parola TEKEL scritta sul muro da una mano misteriosa; non più di quanto pensi alle prostitute che allignano nei boschi vicino a Mordor.

Il secondo esempio è altrettanto stiracchiato:

Stank in one another’s nostrils, riprende l’idea dei peccati che stank in the nostrils of God.

Il riferimento è a The Passage of the Dead Marshes:

Often they floundered, stepping or falling hands-first into waters as noisome as a cesspool, till they were slimed and fouled almost up to their necks and stank in one another’s nostrils.

Quale che sia l’origine dell’espressione, l’interpretazione è del tutto fuori contesto (tanto per cambiare): perché Frodo, Sam e Gollum, luridi e puzzolenti per il fango delle Paludi Morte, dovrebbero avere qualcosa a che fare con i peccati che ammorbano Dio?

Inoltre basta consultare biblehub.com per entrambi i passi citati, e si scoprirà che nei secoli le parole bibliche sono cambiate. Measured è weighed in quasi tutte le versioni, e stank in the nostrils of God era in origine smoke in My nostrils. Quindi Tolkien è condannato per aver usato l’espressione corrente della citazione biblica, neanche la citazione esatta.


14_ Le similitudini le ha inventate Kipling? Questa è davvero una minuzia da parte nostra, ma siamo un poco stanchi delle insinuazioni che in Tolkien ci sia ben poco di originale. Da TR-QA (tra parentesi quadre le 50 parole che non sono in TR):

Come traduttore di buona parte dell’opera di Kipling ne ho avvertito a più riprese la presenza in sottofondo. Soprattutto del Kipling dei due libri di racconti dedicati al folletto Puck. Per esempio quando Tolkien parla di cold iron, titolo e argomento di un racconto, o nella dipartita degli Elfi, che riecheggia l’esodo delle Fate di un altro racconto, [e in qualche similitudine. «Come se una sbarra d’acciaio si fosse richiusa alle sue spalle» ha l’impianto tipico delle similitudini tecniche di Kipling: «quasi col martellio dell’acqua nel tubo quando si chiude il rubinetto» o «come quando si toglie il ciocco che fa da zeppa a una catasta di legname».]

Tolkien parla di cold iron (che non avevamo capito ascoltando TR, credevamo che fosse un nome di persona) in un solo passo:

Gollum probably felt something of the same sort. But what went on in his wretched heart between the pressure of the Eye, and the lust of the Ring that was so near, and his grovelling promise made half in the fear of cold iron, the hobbits did not guess: Frodo gave no thought to it.

La nuova traduzione ha “freddo ferro”, una bella allitterazione, e il concetto trova echi in svariate mitologie; ma ciascuna delle due parole è comunissima, non può essere considerata una citazione da Kipling.

E per quanto riguarda le similitudini, TR-QA specifica che si tratta di similitudini “tecniche”: sembra di capire che si riferisca alle similitudini relative alle produzioni del lavoro manuale, soprattutto concernenti i suoni, ma (per quel che ne sappiamo) non è una figura retorica riconosciuta, e le sbarre d’acciaio probabilmente esistevano prima di Kipling.

15_ Quei felloni dei Rohirrim. Il passo che segue è all’apparenza identico fra TR e TR-QA, ma non ci stanchiamo di deplorarlo.

Ma fell, prima tradotto con ‘fero’, è diventato ‘fello’ («anima fella» dantesca, «fello destin» ariostesco, «cure felle» del Tasso) dal francese felon, come l’inglese, e ancor prima dal latino felo. Sempre più accessibile dell’inglese, se per giunta si ha a che fare con uno come Tolkien, che chiude un paragrafo con fell come attributo e poi – per distrazione o di proposito? – apre il successivo con They fell, il passato di fall, quello che un anglofono ha presente quando incontra il termine.

A parte la nostra personale antipatia per “fello” (almeno “fero” ci ricordava di più il sigificato positivo di “fiero, spietato”, più adatto a Éowyn e ai Rohirrim), obiettiamo al commento “sempre più accessibile dell’inglese”. Ci risiamo con le insinuazioni sull’ignoranza di un anglofono (almeno non madrelingua, in questo caso, ma probabilmente è lo stesso). Al punto 10 abbiamo citato il commento sull’abbondanza di avverbi uguali. “Sarebbe assurdo, già solo per questo, duplicarli.” Forse involontariamente, nel suo sforzo di criticare Tolkien, chi parla/scrive sfiora un punto cruciale della traduzione: l’inglese non è l’italiano. In inglese si può scrivere un dialogo di due pagine tutto a base di he said, she said ed è normale. (Sempre all’orecchio dello stolto anglofono.) In italiano starebbe male. Quindi si suppone che il vituperato anglofono – di cui ci chiediamo se chi parla/scrive abbia mai incontrato un esemplare al di fuori dello zoo, per non dire nel paese nativo – capisca che in fell speed e They fell forward il termine fell ha due significati diversi. Ma tutti i nostri discorsi non hanno senso, se si parte dal presupposto che solo pochi eletti, neanche i madrelingua, possano capire tutte le sfumature dello stile di Tolkien. (Qui non è neanche una sfumatura, sono proprio DUE PARTI DIVERSE DELLA SINTASSI.)

16_ Conclusione (o quasi). Cominciamo a dare segni di cedimento, ma non è ancora finita. TR-QA “conclude”:


E la diatriba della rete, dalla rete, per la rete, intorno alla nuova traduzione? Che in fondo questo, e solo questo, è: una nuova traduzione, pratica corrente, e millenaria. Perché voler montare ad ogni costo un caso? Per chiudere riporterò un aneddoto. [Non molto tempo fa, un paio di giorni dopo il mio compleanno, un amico mi ha chiamato per dirmi che aveva messo gli auguri su Facebook, con tanto di foto e copertine dei libri di poesia; dopo di che aveva ricevuto una valanga di messaggi di amici vicini e lontani, di persone note e meno note, e di perfetti sconosciuti. Quando gli ho chiesto di darci un’occhiata, mi ha risposto di no: lui non poteva farlo, e io avrei dovuto essere iscritto, o iscrivermi. Un’altra tautologia, un altro tranello, un’altra trappola. È stato come vederli internati, chiusi in gabbia, certo virtuale, con una persona più virtuale ancora, perché a me stesso ignota, a rappresentarmi, mentre io me ne stavo in carne e ossa, ignaro e in libertà, all’esterno. Per dispetto o per disperazione, o perché convinti di raggiungerli comunque e di punirli, nel Seicento i libertini li bruciavano in effigie.]
Sicché in coda apporrei le parole rivolte da un personaggio del romanzo agli hobbit: «Il mondo intero è tutt’intorno a voi: potete chiudervi dentro la Contea, ma non potete chiuder fuori il mondo per sempre».
Date retta a Gildor. Fidatevi del racconto.

Tra parentesi quadre, 150 parole che non sono in TR. A parte l’esempio di Facebook che non capiamo (l’amico ha postato gli auguri… sa di aver ricevuto risposte… perché non può guardarle?) cosa c’entrano i libertini bruciati in effigie? E’ un accenno alle critiche sulla nuova traduzione, che raggiungono il diretto interessato solo per interposta persona? In ogni caso chiedersi “perché voler montare ad ogni costo un caso” è al meglio ingenuità, al peggio finta ignoranza. Sul fidarsi del racconto e non di Tolkien, abbiamo già parlato fin troppo.

17_ Codino. Credevamo di aver finito, invece c’è la sorpresa alla fine delle note.

Negli appunti redatti per la copertina di una registrazione del 1967 di Poems and Songs of Middle Earth di J.R.R. Tolkien, Auden scrisse: «Come membro dell’enchanted party ho scoperto per esperienza che è perfettamente inutile discutere con un non convertito».
Nel congedarmi definitivamente dall’impresa mi rifarò, ribaltandola, a questa formula, che riassume come meglio non si può lo stato delle cose.
Non essendo membro dell’enchanted party ho scoperto per esperienza che è perfettamente inutile discutere con i convertiti.

C’è voluto un poco per scoprire le parole originali di Auden e il contesto – sempre lui! – della citazione, che abbiamo trovato in un sito prima sconosciuto, The Imaginative Conservative (quasi peggio di un cattofascista!). Auden non sta parlando di qualche circolo esoterico o cultismo religioso, a cui bisogna resistere per non essere “convertiti”, ciò di cui WM4 ha tanta paura. Sta parlando semplicemente di quelli a cui piace o non piace Tolkien. Auden dice:

I presume that most people who buy this record will already have read Professor Tolkien’s tetralogy, and I hope it will persuade anybody who has not, to do so at once. A prospective reader, however, should, I think, be warned: “This is a work that will either totally enthrall you or leave you stone cold, and, whichever your response, nothing and nobody will ever change it.” As a member of the enchanted party, I have found by experience that it is quite useless to argue with the unconverted.

Le parole di Auden sono discutibili (tetralogy?) e si spera che chi resta freddo come pietra al leggere Tolkien possa sempre cambiare idea, possa essere “convertito” in senso poetico. Ma è il termine enthrall che fornisce la chiave di lettura. Ricordiamo Keats: La Belle Dame sans merci / thee hath in thrall! Non è esattamente una condizione positiva per il cavaliere, e neanche per Tolkien: questi metteva in guardia dall’aspetto morboso del fantasy, come gli autori di TR, TR-WM4 e TR-QA hanno ampiamente ribadito, ma ne ha anche dato la sua interpretazione più sublime in Tree and Leaf (1964).

Auden pare usare il termine innocentemente, e forse conosceva Tree and Leaf; poteva sapere che per Tolkien chi entra in Faërie ne ritorna mutato per sempre, enchanted, in senso buono o cattivo. Per Auden l’enchanted party è semplicemente la categoria di chi si è lasciato affascinare da Tolkien, come lui, a differenza degli unconverted; non c’entra l’Inquisizione o il bigottismo, si parla di coloro a cui non piace Tolkien.

Fatica o chi per lui dichiara di non essere membro dell’enchanted party. L’ironia della situazione è un degno fuoco d’artificio conclusivo.

8 pensieri riguardo “Fatica sui Quaderni di Arda: Recensione

  1. “… ho scoperto per esperienza che è perfettamente inutile discutere con i convertiti”. Quindi chi legge e ama Tolkien sarebbe un convertito, eh?
    Dal canto mio, ho scoperto che è perfettamente inutile discutere con chi si arroca nelle sue posizioni, mettendosi di continuo sulla difensiva e facendo orecchie da mercante alle critiche costruttive, scegliendo di rispondere soltanto a ciò che gli fa più comodo. Ma non mi addentrerò oltre in questo discorso. Grazie per l’articolo, Figli! So che è da molto tempo che non passo sul vostro blog, ma non vi ho dimenticati e spero che continuerete il vostro lavoro 🙂

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    1. Con leggendaria puntualità (e dopo aver tentato di commentare con l’account della parrocchia) eccoci! Grazie! Abbiamo in programma un post in cui concludiamo la questione Fatica (incredibile ma vero) e dobbiamo recuperare un po’ di Rassegna Stampa sui nostri Forestali, che continuano a comparire dovunque pur essendo così misteriosi e sfuggenti 😀 Poi forse daremo una nuova svolta al blog, ma sempre basata sulla filologia. Stay tuned! ❤

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      1. Neanch’io sono molto puntuale, specie ultimamente XD Quindi tranquilli!
        Mi sembra strano pensare che riuscirete a chiudere la questione Fatica, lo ammetto… ma d’altra parte è anche giusto così. Non si può parlare sempre delle stesse cose, no? E di certo la filologica è un campo di studio molto interessante…
        In bocca al lupo per tutto 🙂

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  2. Grazie, o misteriosissimo GQ. Persi nel dedalo delle affermazioni discutibili di TR-QA, abbiamo dimenticato di precisare che Marcho e Blanco NON sono spagnoli.

    Tutta la questione dei nomi hobbit (in quanto pertinente alle “lingue inventate”) è stata affrontata poco seriamente dagli studiosi fautori della nuova traduzione, accantonando il fatto che ciascuno di essi deriva da un nome Ovestron caratteristico delle varie regioni della Contea, “tradotto” da Tolkien con nomi del nostro mondo secondo un criterio preciso. Esempio classico, Kalimac tradotto con il gallese Meriadoc. Semmai una mente curiosa potrebbe chiedersi a quale nome hobbit corrisponda Sancho/Sancha, un illustre nome di origine basca appartenuto a intere dinastie di re e regine. Eh, ma ricorda Sancho Panza, quindi fa ridere.

    E poi è Tolkien che viene accusato di incoerenza. Non ce la si fa, possiamo solo continuare a ripetere i dati di fatto sperando che studiosi più seri ne traggano ispirazione.

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  3. Di tutte le amenità dell’ottimo traduttore qui sottolineate, ognuna delle quali andrebbe stigmatizzata a parte con un lungo articolo dedicato, ce n’è una che trovo particolarmente infelice – quella relativa al nome di Sancho Proudfoot. Senza scomodare letture come il Secret Vice, evidentemente ritenuto vessatorio come tutto ciò che riguarda la concezione di Tolkien per mezzo degli scritti di Tolkien, direi che l’ottimo traduttore dovrebbe, a rigor di logica, aver tradotto anche il Prologo, quindi essersi imbattuto in Marcho e Blanco. Con un minimo di curiosità intellettuale e visione periferica, per così dire, avrebbe potuto scoprire che ‘march’ è un affine germanico dell’anglosassone ‘mearh’, vale a dire il singolare di ‘mearas’ (voce che nell’ambiente tolkieniano dovrebbe essere piuttosto nota) e che del pari ‘blanca’, sempre in anglosassone, sta per “cavallo bianco o grigio”. La qual cosa può apparire un vezzo stilistico finché, sempre con un guizzo di curiosità intellettuale, non vengano alla mente Hengist e Horsa, che almeno un paio di tratti notevoli in comune con Blanco e Marcho li hanno (entrambe le coppie, oltre ad avere nomi correlati al cavallo, guidarono tre popoli in un nuovo territorio). Omettendo questi dettagli, mi rendo conto che un nome come Sancho, pur essendo morfologicamente analogo a Marcho, possa apparire bizzarro e fuori contesto. Il problema è che questi dettagli, e molti altri sui quali l’ottimo traduttore sorvola o si abbandona a sarcasmi grossolanamente inopportuni, vanno dritti al cuore della concezione tolkieniana. Nell’evitare di rispondere a una domanda a Trento, l’ottimo traduttore svicolò con un infausto “mi bocciassero”: accontentato.

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