Storia di un orsacchiotto di peluche (parte quarta)

Dedicato a Papà

Era il 2015, l’anno in cui cambiò tutto. Ti eri già tuffata nella HoME, stavi preparando l’intervento di fine primavera sulla Athrabeth Finrod ah Andreth.

Poi è successo.

Ce lo scrivi piangendo, ma come dice Gandalf non tutte le lacrime sono un male, anzi. Ancora non ce la fai a pensare a lui senza sentirti in dovere di essere forte, di non fare la bambina. Ma tu sei una bambina, lo sei sempre stata e sempre lo sarai, è giusto. Una bambina con gli entusiasmi e le rabbie dell’infanzia, una bambina che adesso è senza il suo papà, e che deve essere l’uomo di casa. Piangi e sii orgogliosa.

E non riesci a non pensare a tutto ciò che hai perso del tuo già minuscolo mondo: il mare, la casa con la terrazza, la barca, il panino con birra al porto e le chiacchierate dopo le uscite a vela e il bagno nella caletta. Non hai più quell’abbronzatura pazzesca, forse non la riavrai mai.

Avevi già il testo, ma alla fine ci sbattesti dentro quelle parole di Aragorn: “Guarda! Non siamo vincolati per sempre a ciò che si trova entro i confini del mondo, e al di là di essi vi è più dei ricordi. Addio!” Come hai fatto a pronunciarle così impassibile?

E adesso leggi “Guarda! noi non siamo eternamente confinati entro i cerchi del mondo e, al di là, c’è più che il ricordo. Addio!” Non è brutto, ma ti fa schifo. Perché non sono le parole che hai dedicato a tuo papà.

Massì, tanto è solo un peluche.

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